Il 15 maggio ricorre la Giornata Internazionale della Famiglia.
Quest’anno vogliamo festeggiarla raccontandovi la storia di Abdullah e della sua famiglia, una storia difficile e bellissima. Sembra una fiaba, ma è accaduta davvero.
La raccontiamo perché è importante, ci ricorda il valore inestimabile di ciò che a volte diamo per scontato.
Ci ricorda, anche, che l’amore ci dà la forza di fronteggiare le difficoltà senza perderci d’animo, con fiducia e tenacia incrollabili, anche quando sembra non esserci speranza. In un mondo che troppo spesso alimenta l’odio, vogliamo raccontare invece di come le persone che amiamo possano essere la forza motrice del nostro vivere, forza che ci fa fare cose grandiose.
Lunedì 13 marzo hanno trovato finalmente riposo a Bologna i corpi di due ragazzi afghani di 24 e 22 anni.
Si aggiungono agli altri quattro adulti e tre bambini sepolti nello stesso cimitero qualche giorno fa, e appartenenti a due nuclei famigliari morti annegati al largo delle coste di Cutro il 26 febbraio. Molti altri non hanno ancora trovato pace, in un surreale rimbalzo di responsabilità tra le autorità italiane e quelle di uno Stato, l’Afghanistan, che dall’agosto del 2021 non esiste più, sostituito da un emirato privo di riconoscimento internazionale e canali diplomatici.
Sono queste le ultime conseguenze del grottesco ritiro delle truppe NATO che per 20 anni hanno promesso di costruire un nuovo Afghanistan libero dal dominio dell’estremismo religioso. Da quella estate di due anni fa, i militari statunitensi ed europei sono spariti lasciando il paese nel caos. Dopo di loro hanno tentato disperatamente la fuga anche tutti quei cittadini afghani che avevano collaborato alla ricostruzione di un Afghanistan che avrebbe dovuto, in qualche modo, rappresentare un paradigma della lotta al terrorismo internazionale e al fondamentalismo religioso.
Nell’agosto del 2021 si è verificata quella che è stata definita “la più difficile evacuazione della storia dell’uomo”.
Decine di migliaia di cittadini afghani si sono riversati all’aeroporto di Kabul, decine di persone sono morte schiacciate dalla folla nel tentativo di salire su un aereo americano, italiano o inglese. Alcuni si sono disperatamente appesi al carrello di atterraggio dei velivoli in partenza, preferendo la morte alla vita in un paese che li avrebbe perseguitati e umiliati.
Abdullah era all’aeroporto di Kabul il 26 agosto del 2021.
Insieme a sua moglie Maryam e ai suoi figli Habiba e Sayed stava cercando di accedere alle piste di decollo dopo giorni di inutili tentativi. Abdullah e Maryam, di confessione sciita ed etnia Hazara, attivisti per i diritti umani e per i diritti delle donne, dovevano fuggire dall’Afghanistan a ogni costo.
Alle 17:50 di quel 26 agosto un attentato suicida scatenò il panico all’interno dell’aeroporto.
Nel caos, e in mezzo a 183 morti e centinaia di feriti, Abdullah si ritrova su un aereo militare italiano, ma Maryam, Habiba e Sayed non sono con lui.
Il giorno successivo Abdullah arriva a Fiumicino. Segue una lunga trafila di trasferimenti in diverse città del sud Italia, poi scopre che a Ciriè, nel centro di accoglienza gestito dal Consorzio dei Servizi Sociali del territorio e dalle cooperative “Stranaidea” e “Dalla Stessa Parte”, sono accolti tre suoi nipoti, fuggiti dall’Afghanistan per gli stessi motivi e durante gli stessi drammatici giorni.
Alla fine del 2021 raggiunge i nipoti nel SAI di Ciriè e inizia il suo percorso di accoglienza e integrazione, aiutato dagli operatori del Progetto di accoglienza. Trova lavoro in un albergo del territorio, impara l’italiano, ottiene il riconoscimento dei suoi titoli di studio, vince una borsa di studio e si iscrive a un corso di Laurea Magistrale in Cooperazione Internazionale. Si riappropria, in breve tempo, di quella parte di sé che lo identifica come accademico, professore universitario e intellettuale.
È un uomo intelligente, Abdullah, e soprattutto è un uomo buono che nonostante le difficoltà non dimentica di ringraziare, offrire il proprio aiuto e sorridere.
Ogni tanto però, il suo sorriso lascia il posto a una preoccupazione profonda, perché una parte di Abdullah, quella più importante, è lontana da lui ed è in pericolo.
Maryam, Habiba e Sayed sono scappati in Iran, ospiti di alcuni amici di famiglia. Non riescono a ottenere un visto regolare, a volte non riescono neanche a comunicare con lui perché i telefoni non funzionano.
Abdullah chiede aiuto perché sa che tra le attività del Progetto c’è anche quella di seguire dei percorsi di ricongiungimento famigliare. Sa anche che è un percorso estremamente difficile, perché non ci sono interlocutori, le ambasciate non rispondono e le informazioni sui corridoi umanitari sono poche e spesso affidate a iniziative private. Abdullah e gli operatori del Progetto scrivono a tutte le istituzioni e a tutte le organizzazioni umanitarie di cui hanno contatti. Sono mesi infiniti fatti di PEC, telefonate, appelli e ricerche. Dopo oltre un anno, l’unico a credere che ci sia ancora una possibilità per la sua famiglia è Abdullah. Firma procure per i suoi figli da inviare a Teheran, chiede ancora l’aiuto del Progetto di accoglienza mettendo a disposizione le sole due armi che possiede: il sorriso e la fiducia. Abdullah dice che prima o poi succederà, in qualche modo qualcosa succederà.
E alla fine del 2022, dopo oltre un anno e mezzo, qualcosa succede.
Qualcuno chiama Maryam per dirle che all’ambasciata italiana di Teheran ci sono i visti per lei e per i bambini. Il giorno successivo qualcun altro invia delle prenotazioni per un volo Teheran-Roma. Qualcuno, alla fine e in qualche modo, ha fatto qualcosa, non sappiamo molto altro perché spesso è così che accadono queste cose. Abdullah lo sapeva. Dopo una settimana, Maryam e i piccoli Habiba e Sayed arrivano a Roma, trascorrono qualche giorno in provincia di Ancona. Poi il Progetto di Accoglienza SAI di Ciriè invia richiesta di ricongiungimento e dopo altre settimane e una serie di documenti scambiati via e–mail, un treno con a bordo Maryam, Habiba e Sayed arriva a Torino Porta Nuova.
È il 13 Febbraio 2023, ore 12:20. Abdullah è lì ad aspettarli. Dal 26 agosto 2021, ore 17:50.
Qui il video racconto del loro ricongiungimento:
Fabio Codias – Operatore di Mr. Grab, centro di accoglienza migranti
I nomi dei protagonisti di questa storia sono fittizi, per ragioni di privacy, ma i fatti sono realmente accaduti e fedelmente riportati.