Sono diventata Sporty spice.
Ero lì tranquilla che mi accingevo a vivere una normale giornata di quarantena tra lieviti madre e serie TV, il tutto rigorosamente in posizione orizzontale, una di quelle giornate nelle quali cambi posizione solo quando non senti più le chiappe, quand’ecco che arriva il messaggio tanto temuto e da troppo tempo nell’aria: “Domani equipe su Skype.”
No, non è il titolo di un horror adolescenziale ambientato on line tipo “Cell”o “Unfriends” . È realtà.
Persone che fino all’altro ieri andavano in panico quando si doveva aggiornare la password della casella di posta, dovevano ora scaricare un’app, installarla, registrarsi e connettersi. Follia.
Invece, contro ogni aspettativa, eccoli. Tutti belli sorridenti, fieri come se avessero hackerato la Cia, puliti, pettinati e vestiti nella parte sopra e con addosso i pantaloni del pigiama in quella sotto.
Bisogna muoversi. Dalle istituzioni tutto tace, ma è una settimana che le persone che frequentano i centri diurni (dette ragazzi fino ai 90 anni) e le loro famiglie sono chiusi a casa senza indicazioni se non le nostre telefonate di conforto.
Bisogna inventarsi qualcosa. Ogni collega inizia a proporre idee. C’è chi si cimenterà in corsi di cucina, chi in fisica quantistica, chi insegnerà ai ragazzi a costruire una macchina del tempo e a restaurare la Cappella Sistina in remoto.
Io non so che fare. Di base sono un’educatrice con velleità artistiche. Le mie attività dal vivo si dividono tra laboratori artistici e passeggiate con aperitivi. Cosa potrei mai fare attraverso uno schermo senza sentirmi la versione sfigata di Muciaccia con la sua colla vinilica e forbicine dalla punta arrotondata? Già mi vedo i ragazzi che riempiono di colla il divano e io che fingo la morte come l’opossum per sfuggire alle ire dei loro genitori.
Arriviamo dunque a Sporty Spice. Ve la ricordate la Spice Girl sportiva, sempre in tuta? Ecco.
Viste le premesse ho pensato, cos’altro so fare? Vogliamo mettere al servizio dell’umanità tutti gli anni passati a combattere la battaglia (persa) contro il culo grosso?
Il mio cervello nel frattempo alza bandiera bianca, molla un rutto e se ne va.
Mi sento dire ad alta voce: “potrei fare yoga e ginnastica on line!”.
Partiamo:
-ok ragazzi questa posizione si chiama cane a testa in giù
-ahahah cane a testa in giù
-eh si
-io ho un cane lo vuoi vedere?
-si, no, magari dopo.. aaawhhh che carino
-io ho paura dei cani
-vabbè tanto è in video non ti fa nulla, torniamo a noi
-come stanno i tuoi cani?
-bene ma adesso concentratevi non si parla quando si fa yoga
-perché?
-cosa hai detto?
-dai che non sento
-sentite ragazzi, ho un’idea. niente yoga. Facciamo che metto della musica e ognuno balla un po’ come vuole. Lo chiameremo discoparty on line. (Giorni dopo una collega vedendone il video mi ha suggerito di chiamarlo movimenti scomposti. Che in effetti rende l’idea ma è ancora troppo ottimista).
Il problema è che sul programma settimanale che abbiamo dato ai ragazzi c’è scritto yoga e non importa come lo chiami adesso. Verba volant, scripta manent. Alcuni lo chiamano yoga anche se balliamo come dei tarantolati sul tagadà. Anche se al posto delle campane tibetane c’è Gigi D’agostino. Mi immagino tra qualche anno, magari qualcuno proporrà ai ragazzi un corso di yoga.. Si iscriveranno convinti di andare in discoteca e si troveranno a fare il saluto al sole vestiti come John Travolta in Night fever.
Ma torniamo a noi. Mi ritrovo così nel mio salotto a ballare davanti ad uno schermo che nemmeno Billy Elliot.
Sessione tipo:
Si inizia subito col botto, un bel reggaeton che fa muovere il bacino.
Alessandro ne approfitta per mostrare i pettorali manco fosse un ballerino di balera alla festa della donna. Hezem e Raffaele gli vanno dietro, mostrando i muscoli da forchetta il primo, vergognandosi subito dopo il secondo. Tony, che ci tiene a partecipare si alza la maglietta mostrando.. la maglietta della salute.
Mara, Simona e Celine nel frattempo ballano scatenate nelle loro camerette che la ricciolina di Flashdance può accompagnare solo.
Alla ventordiciesima canzone Davide è stanco, si lancia a pelle d’orso sul divano, gira la telecamera e mostra i piedi ciabattati che si muovono, per dimostrare che c’è e lotta insieme a noi.
Raffaele si improvvisa bella lavanderina e inizia a piegare asciugamani, fazzoletti e mutande per prendere fiato senza ammetterlo.
Valentina, ancora un po’ malata, ci guarda come guardi un telefilm brutto dal quale non riesci a staccarti perché in qualche modo sei affezionato ai personaggi. Forse vuole solo vedere chi stramazzerà al suolo per primo o se presa dall’entusiasmo tenterò una spaccata e resterò incriccata lì.
Ogni tanto intravedi qualche genitore che non calcola il raggio di ripresa della webcam e sculetta a tempo di musica.
Fatheme, la civilista, si muove aggraziata come una vera signora e guardandola mi chiedo perchè io continuo a sembrare un uomo irlandese ubriaco. Abdullahi, l’ex civilista che ci tiene a ballare con noi si improvvisa animatore da crociera e propone movimenti a caso. Sembra quei pupazzi gonfiabili con le braccia lunghe dei film americani.
Dopo aver sudato capre per un’ora, partono le richieste per la volta successiva e ci salutiamo.
Io, cresciuta a Clash e Bowie mi ritrovo a studiare tutorial per imparare i passi della Macarena e i movimenti di Waka Waka. Maledetta sia Shakira e i suoi fianchi che non mentono. Che tra l’altro posso impegnarmi quanto vuoi ma continuerò a sembrare posseduta dal demone di Jane Fonda, con le movenze di Herbert Ballerina. Uno spettacolo indegno.
Inoltre il mio Spotify pensa io sia impazzita. L’altro giorno sul bus con le cuffie ho selezionato la playlist “rotazione frequente” e mi è partita nelle orecchie, ad un volume devastante Pem Pem della Lamborghini. L’hanno sentita anche alla fermata. Ho tolto il telefono dalla tasca, l’ho cosparso d’alcool, gli ho dato fuoco e l’ho buttato fuori dal finestrino.
Non è vero, ma se mi rubassero il telefono in questo periodo sarebbe più la vergogna che l’incazzatura.
Comunque in questi 2 mesi ho imparato:
-che Baby k urla il suo nome prima di ogni canzone. Lo trovo inutile come la scritta “Uomo” sulle mutande da uomo ma tant’è.
-che Benij e Fede non sono un cartone animato.
-che la musica che va forte oggi ha un sacco di suoni arabeggianti e/o latinoamericani.
-che tutti i pezzi si somigliano tra loro. E non mi piacciono.
-che conviene vestirsi e rendersi presentabili perché i ragazzi sono scafati e sono perfettamente in grado di fare screenshot e registrare le sessioni. E di usarle contro di te.
-che oh chihuahua fa parte di quelle canzoncine che ti si infila nel cervello e ti si ripropone in qualsiasi momento della giornata e qualsiasi cosa tu stia facendo. (Aiutatemi).
Le cose che mi mancheranno saranno:
-il poter lavorare in pigiama
-il poter gestire i miei tempi in accordo con i ragazzi.
-il poter passare da caos a silenzio con un click.
-il fingere guasti alla telecamera i giorni in cui ti senti un cesso.
Simona Barone
“Sguardi oltre lo schermo” è una raccolta di punti di vista di operatori e operatrici di Stranaidea sul lavoro sociale ai tempi del Covid-19. Perchè andrà tutto bene, se andrà bene per tutti